Passaparola marzo 2015

1990-2015: 25 anni di Tenda di Abramo
Ripartire da Zero, Ripartire Insieme
LA RELAZIONE CON S.
Contributo della Diocesi di Ancona-Osimo
Gestione dei turni
Terzo incontro “il coraggio di essere giovani nel 2015”
5 per mille alla Tenda
La relazione con la persona senza dimora

1990-2015: 25 anni di Tenda di Abramo

Era il lontano 19 febbraio del 1990 quando il primo ospite fu accolto, allora in una casa di via Bixio, messa a disposizione da uno dei soci fondatori dell’associazione. Ed oggi siamo arrivati a più di 11.300 accoglienze.
Un miracolo che va avanti da 25 anni grazie all’operato di 1000 volontari che si sono succeduti negli anni come in una staffetta, passandosi il testimone.
Lunga vita alla Tenda di Abramo!!!!
Per festeggiare, prenotate per la
Cena Sociale! il 28 febbraio  al circolo ARCI di Fiumesino

Ripartire da Zero, Ripartire Insieme

Il 23 Gennaio la Tenda di Abramo ha presentato il secondo incontro, nel percorso “Vivere il presente con coraggio” presso il centro Pergoli di Falconara Marittima, con la partecipazione del professore di filosofia teoretica Roberto Mancini. Nell’incontro intitolato “Ripartire da zero, Ripartire insieme”, il professore ha sviluppato il suo intervento partendo dalla recessione che affligge il singolo, nella sua difficoltà di percepire la vie di comunicazioni e di risposta per una vita diversa, fino ad arrivare alle diverse problematiche che colpiscono la società attuale in continuo mutamento. Nell’attuale “mente sociale”, secondo il professore, pesano tre forme di scetticismo e credulità: economica, politica e spirituale.
L’individuo deve cercare di liberarsi dall’attuale struttura sociale, per ritornare ad una società decente dove si sviluppano valori e principi che stanno alla base dell’umanità.
Seguendo “scetticismo e credulità” di carattere economico si giunge, infatti, alla logica ormai fallita di società mercato che nessuno vuole modificare, proponendo una concreta riposta creativa e basata sul valore umano. Un altro tipo di scetticismo è di carattere politico, dove il singolo non solo si distacca dal vero concetto di politica, come bene comune, ma non è più in grado di vedere le riforme che servirebbero veramente alla società. Il terzo tipo di “scetticismo e credulità” è di carattere spirituale che si può dividere in due problematiche: la prima riguarda la perdita di sensibilità nei confronti di valori fondamentali come la vita (“accogli la vita tua e quella degli altri”) mentre la seconda colpisce il sentimento dell’amore che agisce da protagonista nel processo dinamico per diventare umani. Nella nostra società, ormai radicata all’interno del culto economico, il valore infinito dell’amore tende a distaccarsi sempre di più dall’idea pura del bene e della crescita umana. Un esempio riportato dal professore che mi ha colpito in modo particolare è quello dei giovani e dei bambini che si trovano in un giardino sotto forma di semi. Questi semi riescono a crescere e a svilupparsi solo se vengono accolti e incentivati. Attualmente si sta operando al contrario, trascurando proprio questi semi, simbolo di ricrescita sociale e speranza per il futuro.
Nel corso degli ultimi anni abbiamo desertificato la nostra società, mettendo sempre più da parte l’amore, dinamica fondamentale per diventare umani.
Quando si parla di scetticismo spirituale si va ad identificare quell’individuo immerso in una società che non crede al vero senso della parola “amore”, dal quale si generano tutte le dinamiche di crescita umana. Un altro carattere di stimolo sociale che sta piano piano scomparendo è la “felicità possibile”: in questo periodo, infatti, siamo poveri di esperienza di felicità concreta che potrebbe dare respiro ai membri di una società basata su logiche inadeguate.
Secondo il professore la felicità è possibile seguendo tre comportamenti : osservando la fioritura dei giovani per mantenere un legame fra le generazioni; cogliendo la bellezza della comunione nella relazione con gli altri, al quale è legato il senso della giustizia nel rispetto della dignità dell’individuo e infine condividendo e donando senza rimorsi. Questi tre comportamenti vengono messi in atto sempre meno nella nostra società.
La comunione, che deve essere accolta interiormente, restituisce le persone a loro stesse, e conduce il proprio cammino interiore a “una vita semplice, una vita che cresce intera”, dove l’individuo non si lascia ricattare dalle pressioni interne – come le paure – ed esterne –  come la politica. La comunione quindi deve trasformarsi in giustizia espansiva, che non opera in modo meritocratico: non misurando la quantità di giustizia adeguata, ma rispettando esclusivamente la legge della dignità umana. Ognuno trova l’esperienza di comunione all’interno di se superando il confine dell’Etica. Attraverso l’etica si sperimenta la relazione con una fonte di bene, che  motiva e indica una direzione di vita, e la relazione con l’altro, occasione e fonte di esperienza autentica. A tal fine, è indispensabile una prima grande “riforma”: destare di nuovo la coscienza etica delle persone, e l’accoglienza rappresenta proprio il processo che riapre la comunione a cui segue la restituzione di diritti fondamentali all’interno del concetto di umanità. Le strutture di accoglienza sono esse stesse delle strade di riabilitazione memoria e delle persone.
Il professore ha dato anche due consigli per la nostra attività di volontari: avere sempre come fine quello del reinserimento sociale e cercare di condividere e diffondere lo spirito di accoglienza anche alla cittadinanza traducendo l’operato della struttura in comunicazione con gli altri. In questo senso la struttura può farsi portatrice di bene comune, identificando l’accoglienza con lo specchio sociale, dove il volontario nel suo singolo è tenuto a rilanciare il suo operato alla cittadinanza. “Il Volontario, operando per comunione e felicità condivisa, agisce per la giustizia”.
Giovanni

LA RELAZIONE CON S.

Era settembre quando S., un richiedente asilo appena maggiorenne proveniente dall’Afghanistan, ha bussato alla nostra porta.
Era stanco, impaurito e diffidente nei confronti di tutti. Fin dalla prima sera ha lamentato dei forti dolori al piede e, grazie all’intervento di un volontario, è stato subito portato al pronto soccorso.
Nei giorni successivi abbiamo fatto degli ulteriori accertamenti, e, grazie all’intervento di alcuni Medici, siamo riusciti ad asportare quello che poteva essere un grave tumore cutaneo.
A fine ottobre S. ha cominciato a frequentare il centro diurno e la scuola di italiano della Caritas e col passare del tempo, con molta fatica dovuta anche alle notevoli difficoltà a livello linguistico, S. si è tranquillizzato molto, è sorridente, sereno, nonostante il terribile passato che sta provando a lasciarsi alle spalle.
Dopo mesi di attesa a gennaio la Questura ha finalmente formalizzato la sua richiesta di asilo e per la fine del mese di febbraio entrerà a Casa Zaccheo, la  seconda accoglienza gestita dall’Associazione S.S. Annunziata di Ancona, e insieme agli operatori si cercherà di pensare per lui un buon progetto di integrazione e inserimento sociale.
Non sappiamo ancora se lo Stato Italiano gli concederà lo status di rifugiato, i tempi saranno molto lunghi, ma siamo sicuri di averlo aiutato davvero tanto in questi mesi: gli abbiamo dato la possibilità di essere inserito in ambienti accoglienti, di stringere dei legami, di imparare qualche parolina di italiano; tutto questo gli ha permesso di essere tranquillo e di tornare a sorridere come probabilmente non succedeva da diverso tempo.
Anche da questo rapporto abbiamo imparato che “l’apparenza inganna”: la chiusura iniziale di S. e la difficoltà nel relazionarsi con gli altri era dettata non solo dalle difficoltà a livello linguistico ma soprattutto dalla paura che stava provando in quel momento.
Anche noi come i nostri ospiti a volte mostriamo all’esterno ciò che non siamo realmente, ma portiamo come delle “maschere” che sono il frutto delle nostre paure. E allora, trovare qualcuno lungo la strada che cerca di andare oltre a quello che facciamo vedere di noi, ci aiuta a riacquistare fiducia in noi stessi e a motivare il desiderio di ricominciare a sognare e a coltivare un progetto di vita.
Nel rapporto con i nostri ospiti più ci sentiamo dentro – e non superiori ad essi – più siamo capaci di leggere la verità e di mettere a suo agio l’altro aiutandolo a sentirsi una persona.
Ciò permette a noi volontari di confrontarci con i nostri limiti, con i pregiudizi che ci creiamo attraverso le informazioni che quotidianamente riceviamo dalla società sulle persone in stato di povertà. Individui da isolare, abbandonare, allontanare perché sono pericolosi e vanno ad intaccare le nostre false sicurezze. Grazie agli ospiti, noi volontari prendiamo maggiore consapevolezza di ciò che siamo e diventiamo  più fedeli a noi stessi.
Stefano ed Erika

Contributo della Diocesi di Ancona-Osimo

Ringraziamo la Diocesi di Ancona-Osimo per averci donato 2000€ per le spese di manutenzione sostenute nell’ultima estate. Ancora una volta la Diocesi si è dimostrata attenta e vicina alla nostra Associazione.

Gestione dei turni

Per rendere l’organizzazione dei turni più semplice, vi ricordiamo che
1) se non potete coprire il turno che vi è stato assegnato, sta a voi cercare un sostituto scambiando il vostro turno mensile con quello di un altro volontario. I referenti giornalieri e i coordinatori svolgono solo lavoro di riferimento e di supporto, soprattutto per i nuovi volontari. Ai referenti giornalieri va comunque comunicata la variazione del turno. In tenda troverete la rubrica telefonica dei volontari per contattare i vostri possibili sostituti. Questo cambiamento ci aiuterà nel prevenire eventuali mancanze di volontari nei turni, perché le assenze dell’ultimo minuto rendono molto più difficile l’organizzazione e lo svolgimento del servizio.
2)Del coordinamento dei turni si occuperanno:
– Pietro Talevi per i turni di notte
– Francesco Re per i turni di accoglienza
– Giovanni Paolozzi per i turni di cucina e pulizia
Saranno di supporto ai referenti giornalieri nel prezioso e delicato lavoro di gestione dei turni.

Terzo incontro “il coraggio di essere giovani nel 2015”

Continua il percorso con il ciclo di incontri “Vivere il presente con coraggio”.
Dopo don Luigi Verdi e Roberto Mancini è la volta di Don Angelo Cupini della Comunità di Via Gaggio (Lecco) e tra i fondatori del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza). La Comunità di Via Gaggio è un’associazione di volontariato senza scopo di lucro (onlus) che dal 1975 opera nella promozione delle risorse giovanili, aiutando a superare le condizioni di disagio. L’incontro sarà il 20 marzo (presso il Circolo Operaio Mutuo Soccorso Via Andrea Costa 9 Falconara M.ma alle ore 21.15).
Tema dell’incontro sarà: “Il Coraggio di Essere Giovani nel 2015”, una riflessione sul mondo giovanile nell’attuale contesto storico-sociale.
Ricordiamo che il filo conduttore degli incontri è il coraggio di vivere il nostro tempo approfondendo diversi aspetti (la società, i giovani, la dimensione personale di ognuno di noi), con l’obiettivo di offrire spunti di riflessione nuovi e positivi su cui confrontarci insieme per migliorare il benessere individuale e sociale.

5 per mille alla Tenda

Se sei interessato a destinare il tuo 5×1000 dell’IRPEF al sostegno del servizio alle Persone Senza Dimora offerto dalla nostra associazione, ci sono tre modi diversi di farlo. Puoi:
– compilare un’apposita scheda se non denunci alcun reddito;
– oppure se fai il modello 730, compilare anche il modulo 730bis;
– oppure, quando consegnerai il modello UNICO, devi scriverlo nel frontespizio vicino alle informazioni sulla destinazione dell’8 per mille.
Prendi i documenti che ti servono e annota questi dati; occorre
1.firmare in corrispondenza della dicitura “Sostegno delle organizzazioni non lucrative”
2.scrivere il codice fiscale della Tenda: 93023980423
Chiediamo a tutti di diffondere quanto più possibile l’iniziativa, e di fornire a quelli che conosciamo (parenti, amici, conoscenti, colleghi di lavoro) il nostro codice fiscale. Se il cittadino non esprime alcuna preferenza, il 5 per mille resterà allo Stato.
Nella sezione documenti/sensibilizzazione del nostro sito www.tendadiabramo.it trovi un volantino che puoi fotocopiare e distribuire a chi vuoi.

La relazione con la persona senza dimora

La letteratura in merito al fenomeno delle persone senza dimora ritiene che sia opportuno abbandonare l’idea di una soluzione del problema in termini di tempestività, efficacia ed efficienza., per quanto riguarda l’atteggiamento che può assumere l’operatore sociale in una relazione d’aiuto diretta con chi vive in condizione di deriva psicosociale,
In una logica d’intervento a soluzione rapida, ogni via appare assai incerta se non addirittura inutile, cosicché è frequente sentir definire i “casi multiproblematici” come “casi irrisolvibili” o “casi impossibili”. Nei fatti, spesso la “soluzione” in questa prospettiva coincide con l’impegno a cambiare l’aspetto fisico (nutrire, ripulire, cambiare l’abito) o con lo spostamento fisico della persona in altri luoghi. Oppure, più drasticamente e accidentalmente, il “caso si chiude”, risolvendosi da sé: per decesso, o per la partenza spontanea della persona “da trattare”.
Incentrare l’aiuto in vista della risoluzione del problema “senza fissa dimora” come obiettivo primario, dunque, diventa una barriera invalicabile. Diverso è l’approccio d’aiuto fondato sul presupposto che ogni soggetto (individuo, gruppo, collettività) è in grado di sviluppare potenzialità e autonomia, e che queste vengano stimolate da un rapporto diverso con l’ambiente di vita in cui è inserito. Il rapporto tra operatore e utente deve basarsi sulla conoscenza reciproca che porta nel tempo a fidarsi l’un l’altro, a rispettare con estrema discrezione le scelte altrui, senza giudicare quei comportamenti a volte “bizzarri” ma capendoli, aiutando la persona a prenderne consapevolezza e ad affrontarli.  L’intervento dei servizi è in tal senso mirato a porre ognuno in grado di fare scelte autonome e consapevoli relativamente al proprio sviluppo e alla propria realizzazione. Ripristinando l’autonomia, passo dopo passo, talvolta con la medesima lentezza che aveva segnato le tappe di una intera vita di sofferenza e degrado. Le persone senza dimora vivono una dipendenza con i contesti di marginalità caratterizzati da elementi negativi: degrado ambientale, microcriminalità, antisocialità, in quanto sono gli unici luoghi in cui si sentono riconosciuti. E siccome questo è un bisogno importante per il benessere individuale, è importante creare a queste persone una nuova rete di appartenenza che dia loro identità e riconoscimento dentro una comunità: un riconoscimento affettivo (qualcuno che ti è vicino e per cui sei importante per quello che sei); l’attribuzione di ruoli sociali (un ambiente dove il tuo contributo, anche limitato, è ritenuto utile e importante); l’autonomia nella produzione e consumo di reddito, fino a varcare di nuovo la soglia d’ingresso nella normalità (la tua vita dipende anche da te e chi ti aiuta non si sostituisce ai tuoi impegni e alle tue scelte, ma ti accompagna a sentirti “normale”, a sentirti te stesso).
Un intervento in questa direzione, richiede operatori affiancatori, compagni di strada, orientati da supervisori capaci di sostenere nuovi progetti sul piano affettivo, sociale ed economico; agganciando le persone senza fissa dimora e tessendo legami con ulteriori compagni di strada per chi pian piano, in tal modo, esce dall’emarginazione. Solo lungo questo cammino può tornare la motivazione nella persona di sognare e coltivare un progetto di vita stabile fatto da nuove reti sociali ed affetti. Giacomo Invernizzi sostiene che la relazione tra operatore e utente diviene accompagnamento verso nuovi equilibri, verso nuove sperimentazioni di sé. “Operatori come traghettatori verso la rete dei servizi, verso i diritti di cittadinanza, verso l’assunzione di nuovi ruoli che definiscono le nuove appartenenze: c’è la difficoltà ad assumere responsabilità passate, sociali e individuali. Molte delle resistenze sono anche dovute alla scelta di rimanere sulla soglia di convivenza minima che non comporta nessun ingaggio a livello di ruolo come responsabilità”(Invernizzi G).
Come operatore, la relazione con la persona senza dimora fa crescere, mette in discussione, implica una conoscenza di sé, una pratica riflessiva che investe anche il vissuto dell’operatore alimentando la relazione L’attenzione alla dimensione personale convive con la responsabilità verso l’altro e assume una valenza formativa: nella relazione non cresce solo la persona senza dimora ma anche l’operatore, che prende consapevolezza dei propri limiti diventando una persona più adulta e fedele a se stessa.

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