Passaparola ottobre 2018

Parliamo di Persone Senza Dimora… con tutti!
Gruppo Facebook
Un disumano decoro
SOS in Tenda: chi chiamare?
Alberto Maggi e “I bei tempi andati”
Quote associative

Parliamo di Persone Senza Dimora… con tutti!

Tenetevi liberi per il 9 novembre 2018 : stiamo organizzando un evento di formazione davvero interessante!
Sarà un incontro aperto alla cittadinanza sulla tematica delle persone senza dimora, per comprendere meglio gli amici che ogni giorno abitano la Casa con noi e per capire come aiutarli.
Interverrà Maurizio Bergamaschi, Professore Associato presso la Scuola di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bologna, insegnante dei corsi “Sociologia dei servizi sociali di territorio” e “Sociologia delle migrazioni”. Il Professore svolge attività di ricerca in particolare sui processi di impoverimento in ambiente urbano e sulle politiche di contrasto alla povertà.

Gruppo Facebook

Durante incontri di formazione, eventi ed assemblee, in molti ci avete ribadito la necessità di confronto in merito a molti temi importanti per la Tenda. Per questo, da oggi, il consiglio ha creato un Gruppo Facebook “I Volontari della Tenda di Abramo” riservato proprio a questo nostro bisogno. Si tratta di uno spazio operativo, che ha l’obiettivo di favorire la circolazione delle informazioni, il chiarimento delle procedure, le comunicazioni fra volontari, la logistica di eventi e incontri e le discussioni sulla gestione delle nostre attività.
Mi raccomando: una volta iscritti leggete il regolamento!

Un disumano decoro

L’allestimento di spuntoni di metallo sulle panchine per impedire ai migranti e ai senzatetto di dormire, è oramai una pratica diffusa in tutto il mondo. Dietro le politiche di riqualificazione urbana sostenute dalla retorica del decoro si nasconde una lotta contro i poveri e una privatizzazione dello spazio pubblico. Non mancano però azione di protesta e denuncia contro questa pratica disumana.
La forma di una panchina non ha niente di neutrale. Ci sono quelle che rendono possibile sdraiarsi e dormire, se non si ha qualcosa di meglio. E ci sono quelle che lo rendono impossibile: le panchine “a prova di vagabondo”.
Di quest’ultimo tipo ce ne sono sempre di più in Italia, dove dal luglio 2008 le amministrazioni locali hanno visto aumentare i propri poteri in materia di sicurezza. Ma ce ne sono sempre di più ovunque, nel mondo: da Washington D.C. a Budapest, da Oslo a Madrid, da Tokyo a Parigi.
Un importante report su 187 città statunitensi ha evidenziato un aumento dei divieti relativi all’uso dello spazio pubblico, tra il 2011 e il 2015, pari al 43%. E l’assortimento di panchine Bum-proof si arricchisce via via: da quelle tubolari a quelle singole, fino a quelle dotate di sbarre. Le panchine sono solo una delle componenti della “architettura difensiva”, per dirla con l’artista inglese Nils Norman, che dagli anni Novanta fotografa elementi di questo fenomeno (un lavoro simile lo porta avanti il collettivo francese Survival Group).
Forse è più appropriata, però, una definizione più forte che si sta facendo strada: “architettura ostile”.
Se la forma di una panchina risponde a logiche politiche, tutte le misure anti-clochard rientrano in una precisa strategia che ostacola la vita dei poveri in città. Sono deterrenti per chiunque pensi di poter sovrapporre spazio pubblico e spazio privato.
La questione oggi è evidentemente di grande attualità per come si inserisce nel quadro della cosiddetta riqualificazione. La retorica del decoro e del degrado. Ed è un buon esempio del rapporto diretto, osservato da Bergamaschi, Castrignanò e De Rubertis, tra meccanismi di controllo dello spazio pubblico ed esclusione degli indesiderati. Qualcosa che un’importante ricerca dello European Observatory on Homelessness ha individuato in aumento significativo dalla seconda metà degli anni Novanta.
Il primo in Italia a prendere questa direzione fu Giancarlo Gentilini, “lo Sceriffo”, sindaco di Treviso per un decennio. Era il 1997 quando fece rimuovere alcune panchine del centro perché non ci dormissero i migranti. In molti, tra i primi cittadini italiani, seguirono l’esempio. Togliendo le panchine o rendendole indisponibili.
Venezia mise il divieto di sedersi in modo scomposto. A Trieste vennero tagliate con la sega elettrica le panchine di una piazza. Voghera proibì anche solo di sedersi dopo le undici di sera. La situazione si è articolata in un modo più complesso nel 2007, quando Belluno ha introdotto nell’arredo urbano le panchine con il bracciolo divisorio. E in fretta le amministrazioni di parecchie città, grandi e piccole, hanno sperimentato la novità.
Sgombrate la marginalità. Togliete la povertà da sotto i miei occhi. Negate al senzatetto la libertà di vivere lo spazio pubblico come privato, lo spazio urbano come casa.
Succede in tutto il mondo. E negli ultimi tempi succede più spesso. Spuntoni di metallo a terra, sia a Londra che a Manchester, per rendere impossibile sedersi di fronte ai palazzi. Pietre sistemate su un prato di Tacoma dove i senzatetto della zona andavano a sdraiarsi. Un sistema di irrigazione attivato davanti alle vetrine di un centro benessere di Bristol. Nuovi sedili che sostituiscono le lunghe panchine in legno alla stazione ferroviaria di Varsavia (le operazioni condotte nelle stazioni europee, ovunque dello stesso segno, meritano un capitolo a sé).
E ancora, un’ingombrante rastrelliera porta-biciclette installata sotto un viadotto di Seattle (città dove nel 2017 sono stati sgombrati 165 accampamenti di homeless in dieci mesi), per evitare che il luogo facesse da rifugio agli indesiderati.
Mike Davis ha parlato di “sadismo” dell’ambiente urbano.
Pochi mesi fa il rapper britannico Professor Green ha guidato una protesta contro le panchine con la sbarra nel mezzo, installate nella cittadina inglese di Bournemouth. Ha invitato a rivoltarsi contro il tentativo di rendere invisibile il numero crescente di senzatetto.
La cittadinanza ha raccolto oltre ventimila firme perché il Comune “non voltasse le spalle agli homeless”. E lo stesso Professor Green ha partecipato alla sostituzione di una panchina-ostile con una panchina che permettesse di stendersi dignitosamente.
Non è un caso isolato. Negli ultimi anni, da Londra a Vancouver, la pressione dell’opinione pubblica ha spinto alla rimozione di spuntoni e sbarre per scacciare i poveri come si scacciano le bestie.
Sono state allestite anche a Roma, a dicembre 2017, le “panchine anti-barbone”. Nella zona di piazza Bologna, per volontà e a spese di un comitato di quartiere, con l’autorizzazione dell’amministrazione del Municipio II.
Dopo le proteste, un’azione simbolica del gruppo Baobab Experience ha segato la sbarra di una panchina, e lasciato un messaggio: “Più de còre, meno decoro”.

SOS in Tenda: chi chiamare?

Per quei problemi importanti, che devono essere ben chiariti ai volontari dei turni successivi, riguardanti sia la casa che gli ospiti, chiama il Referente settimanale! E’ a tua disposizione per aiutarti a prendere decisioni e deve essere informato sulle questioni più importanti, anche perché sarà lui a tenere sotto controllo i turni successivi: non avere paura di disturbarlo! Troverai il suo nome nel foglio dei turni che ti arriva ogni mese e che è appeso in bacheca (ogni settimana sarà una persona diversa!).
Se invece hai bisogno di spostare il tuo turno, di tardare o di andare via prima, chiama il Referente giornaliero: DEVE essere informato sui cambiamenti dei turni e può aiutarti a trovare un sostituto. Puoi trovare nome e numero del referente – ogni giorno è una persona diversa – in calce al programma dei turni che ti arriva ogni mese e che è appeso in bacheca
per entrambi i referenti, i numeri di telefono stanno nella rubrica cartacea -quadernone ad anelli sullo scaffale sopra il fax – o sul pc, nel file che sta nella cartella documenti, o ancora in un apposito foglio appeso in bacheca

Alberto Maggi e “I bei tempi andati”

Piccola guida contro la paura del presente
La tensione tra il vecchio e il nuovo, tra chi vuole ripetere e chi vuole creare
Teatro Gobetti gremito per il quarto appuntamento di Torino Spiritualità 2018, l’incontro con Alberto Maggi dal titolo “Bei tempi andati? Piccola guida contro la paura del presente”.
«Le persone usano l’espressione “bei tempi andati” perché vivono male il presente, sono in ansia per il futuro “dove andremo a finire”, e allora vanno in cerca di un passato che è stato idealizzato: “i bei tempi di una volta” – dice Maggi-. Si torna indietro a quando c’era più rispetto per i genitori da parte dei ragazzi, c’era più educazione “una volta si…”. La ricerca perenne del paradiso perduto».
Alberto Maggi è un teologo biblista appartenente all’Ordine dei Servi di Maria e dirige il Centro studi biblici G. Vannucci di Montefano, in provincia di Macerata. Il suo convegno invita a riflettere sull’utilizzo di espressioni come «al giorno d’oggi» o «di questi tempi», sempre utilizzate con un’accezione negativa.
Testi alla mano, la sua ricerca va a ritroso nel tempo fino all’Antico Egitto, dove 5 mila anni fa veniva già utilizzata l’espressione: «Non sono più i tempi di una volta. I figli non rispettano più i genitori». Passando per l’Impero Romano, i greci, il medioevo e le scritture di Giacomo Leopardi, che diceva: «Egli è pur vero che l’ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi», in ogni epoca troviamo delle tracce di queste espressioni nostalgiche e in ogni periodo troviamo riferimenti negativi nei confronti della gioventù.
Ma allora quando sono stati questi «Bei tempi andati»? «Non sono mai stati – dice Maggi – Mettiamo via la lamentela. Quello che c’è sempre stato è la tensione tra il vecchio e il nuovo. È il vecchio che si lamenta del nuovo. “I giovani d’oggi ”, che a loro volta diventeranno vecchi e si lamenteranno dei giovani. C’è una tensione tra quello che è vecchio, che vuole imporre la tradizione, e il nuovo che invece vuole creare. Il vecchio vuole ripetere, il nuovo vuole creare, e da qui la tensione».
Secondo Maggi queste visioni nostalgiche sono frutto di una lettura errata delle sacre scritture: «Il racconto della Bibbia non è quello di un paradiso perennemente perduto, ma la profezia di un paradiso da costruire».
È la paura del presente, secondo Maggi, a mutilare le relazioni umane. E qui entra in gioco il possesso. «L’accumulo di beni comporta angoscia. Angoscia di non avere abbastanza o paura che quello che abbiamo ci venga rubato». In verità sono le cose che abbiamo a possederci. «La condivisione è il vero tesoro. Le uniche cose che possediamo sono quelle che doniamo agli altri. Nel rapporto che l’uomo ha con il denaro si gioca la sua esistenza».
Condividere al posto che avere, scendere invece che salire, servire e non comandare. Il messaggio di Alberto Maggi è molto chiaro: «Se ti lamenti del presente, sei angosciato dal futuro e rimpiangi il passato, non ti accorgi della bellezza del presente che c’è davanti a te».

Quote associative

Vi ricordiamo che la quota è di 12 euro; quando si è in turno è possibile pagare mettendo i soldi nella cassettina blu e firmando la ricevuta, ricordandosi di indicare nome e cognome; il libretto delle ricevute è anche esso nella cassettina. Oppure consegnate i soldi al volontario in turno che apre, sarà lui poi a riporre i soldi nella cassettina blu; ricordategli che deve fare la ricevuta a vostro nome, in modo che, quando sarà pronta, vi venga consegnata la tessera!

Potrebbero interessarti anche...